N° 020/2021 |
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FONTE: Libero |
GIORNO E DATA: sabato 05 giugno 2021 |
PAGINA: 19 |
AUTORE: Mario Bernardi Guardi |
Tante donne più dimenticate in Italia e nel mondo, per fortuna ogni tanto salta fuori una notizia atta per ricordare le loro imprese. Poi, cercando ed esplorando vari siti si scopre una ricchissima miniera d’informazioni, che sarebbe giusto far riaffiorare per dare un’adeguata visibilità a donne eccezionali delle quali si è persa la memoria, più o meno consapevolmente. Nel caso di Alfonsina si tratta di una sportiva primi anni Venti del 1900, lo sport femminile era ignorato molto più di oggi, siamo felici di dare risalto alla figura di Alfonsina. Abbiamo pensato di completare l’articolo di Mario Bernardi Guardi con altre informazioni accessibili a tutti. Pari e Uguali.
Le donne più della nostra storia e dimenricate
ALFONSINA E LA STRADA
La prima donna al Giro che inseguì la vita in bici
Alfonsina Morini monta per la prima volta su una bicicletta, a dieci anni, in una notte di luna piena. In casa tutti dormono. Esce. La bicicletta è di là dell’orto, fra i cespugli di rosmarino. «Guai a chi la tocca!», ha minacciato il babbo. Serve solo a lui, che tutti i giorni la inforca per an dare al lavoro, dove capita, da bracciante. Ma Alfonsina è pronta a disobbedire. Quel «cavallo magico», quel «mar chingegno da favola» è fascinazione pura. E lei, in mutan de e canottiera, e con la rugia da marzolina che le accappona la pelle, ci sale sopra, per tuffarsi nel silenzio della cam pagna, libera di respirare, di sognare. Forse perché a casa sua, a Fontemarcia di Caste naso, poco lontano da Bolo gna, i sogni non se li può per mettere nessuno. I genitori sono contadini analfabeti che sfomano figli - ne hanno una decina, tutti gracili, pallidi e tristi - cui si aggiungono i bastardini presi dai brefotrofi di provincia, per ottenere il susssidio. Di sgraziati bambini «dalle boc che fameliche», malatini rin secchiti: una grigia schiera che Alfonsina sin da bimba si troverà sempre accanto a chiederle ragione di un’esi stenza breve e dolorosa, ma anche a incitarla a vivere. Ec co: la bicicletta è questo riscat to. Via col vento, di notte, nes suno che ti guarda, la libertà, il sogno. Forse, anche e soprattutto, una promessa di futuro? Alfonsina la vede subito così: lei è nata per correre in bici. E lo impara proprio in quella notte di "iniziazione", quando comincia a vivere. VIA COL VENTO A raccontare questa storia è Simona Baldelli, bravissi ma nell’avvolgerci in una tra ma di passione e disperazio ne, volontà e tigna, trionfi e tonfi (Alfonsina e la strada, Sellerio, pp. 311, euro 17). Il tutto sotto il segno di un’emiliana tosta e tenace, che non rinuncia mai a esser donna ma che, proprio come tale e perché tale, non la smette di dire e fare quello che vuole. La bici. Non solo da montare ma da "imparare": il sellino, il manubrio, la catena, i freni, il telaio... E lei, via col vento. Siamo a inizi Novecento, e una donna in bici - frangetta, maglietta nera e pantaloncini - è qualcosa che indispone, irrita, fa scandalo. In famiglia, infatti, la considerano una matta svergognata e non c’è nessuno che apprezzi la sua testardaggine. Anche le com pagne del laboratorio di sartoria dove lavora la guardano storto e i maschi suoi coeta nei che gareggiano in bici non la sopportano e la insulta no. Ma le offese le scivolano addosso. Lei li sfida, gli fa mangiar la polvere, in una ga ra riesce a conquistare il suo primo trofeo: un maialino che tutta la famiglia e il curato del villaggio sbafano, bell’ar rostito, senza fare un compli mento alla "corridora". Alfonsina non ne può più. Vuole uscire dal guscio fetido di Fossamarcia, vuole andarsene dalla Bassa e conquista re le grandi città: Milano, Torino... Vuole la bici e guada gnarsi da vivere pedalando. Così lascia la casa e se ne va a Torino insieme all’innamorato, Luigi Strada, meccanico, cesellatore, inventore. Un uo mo dolce, tenero, affettuoso che sarà il suo primo sosteni tore, ma per poco: nel ’24 lo ricovereranno in manicomio e per Alfonsina sarà come se le strappassero il cuore. LA ZARINA Ma la vita della "corridora" (1891-1959) è sovraccarica di emozioni. All’insegna di una volontà indomabile. Alfonsi na gareggia, stupisce, vince. Agli inizi, tra le donne, come «migliore ciclista italiana». E proprio in quanto tale viene invitata con altri atleti al Grand Prix di Pietroburgo, ed è la stessa zarina Alessandra ad appuntarle una medaglia sul petto. Al seguito, un ina nellarsi di date: 1911, col re cord mondiale di velocità fem minile; ’13 e ’14, successi nel le gare su pista al Vélodrome d’Hiver a Parigi; 1917, l’anno di Caporetto, giro di Lombar dia, tra mille polemiche ma schiliste, insieme a ciclisti come Belloni e Girardengo. Ven ti corridori su quaranta che non completano il tragitto, lei che ce la fa e arriva stremata a un’ora e mezzo dal vincitore - il belga Thys. Infine, nel 1924, la "perla": il Giro d’Italia. Emilio Colombo e Arman do Cougnet, rispettivamente direttore e amministratore della Gazzetta dello Sport, hanno detto no alle esose richieste d’ingaggio delle squadre più prestigiose. Dunque, non ci sono né Girardengo, né Brunero, né Bottecchia. La "femmina" Alfonsina, sì. Il "fenomeno" garantisce una gran bella pubblicità. Anche chi sparla, ne parla. Certo, è una faticaccia. Più di 3.600 km lungo tutta la Penisola, ma lei che riesce sempre a ta gliare il traguardo di tappa. Magari con ore di ritardo ri spetto al vincitore, eppure con la solita "tigna" di chi non si è arreso. Ad accoglierla, sempre musica e applausi. E le donazioni in danaro, che non ci stanno male. Perché lei ce la mette tutta a fare il suo lavoro. Parola d’onore, parola di donna. Vittoriosa comunque. Anche se dopo il ’24 non parteciperà più a grandi appuntamenti sporti vi. Ma se ne andrà in giro per l’Italia e l’Europa, esibendosi anche nei circhi, dove pedala sui rulli. «Ma non sono un fenomeno da baraccone», dice a muso duro...
ENCICLOPEDIA DELLE DONNE Margherita Marcheselli ALFONSINA MORINI STRADA Alfonsina Morini nasce in una famiglia di contadini. Ben presto si appassiona al ciclismo e partecipa a numerose competizioni locali. Nei paesi in cui sfrecciava con la sua bicicletta, è soprannominata “il diavolo in gonnella”. Continuamente osteggiata dalla famiglia per la sua passione a 24 anni, nel 1915, sposa Luigi Strada, cesellatore che, invece, la incoraggia e addirittura le regala, il giorno delle nozze, una bicicletta da corsa nuova. L’anno successivo i due si trasferiscono a Milano, dove Alfonsina comincia ad allenarsi con serietà. Nel 1924 partecipa, prima donna in assoluto, al Giro d’Italia. Parte e compie regolarmente 4 tappe: la Milano-Genova (arrivando con un’ora di distacco dal primo ma precedendo molti rivali), la Genova-Firenze (in cui si classifica al cinquantesimo posto su 65 concorrenti), la Firenze-Roma, giungendo con soli tre quarti d’ora di ritardo sul primo e davanti a un folto gruppo di concorrenti, e la Roma-Napoli dove conferma la propria resistenza. Nella tappa L’Aquila-Perugia, invece, Alfonsina arriva fuori tempo massimo. A quel punto i giudici si dividono in due fazioni: chi vuole estrometterla e chi è favorevole a farla proseguire. Il direttore della Gazzetta, Emilio Colombo, che aveva permesso la partecipazione di Alfonsina al Giro e aveva capito quale curiosità suscitasse nel pubblico la prima ciclista italiana della storia, propone un compromesso: ad Alfonsina sarà consentito proseguire la corsa, ma non è più considerata in gara. Lei acconsente e prosegue il suo Giro. All’arrivo di ogni nuova tappa è accolta da una folla che la acclama, la festeggia, la sostiene con calore e partecipazione. Alfonsina continua a seguire il Giro fino a Milano, osservando gli stessi orari e gli stessi regolamenti dei corridori. Un giro di dodici tappe per un totale di 3618 chilometri, che si conclude con la vittoria di Giuseppe Enrici dopo il duello con Federico Gay. Dei 90 corridori partiti, solo 30 arrivano a Milano. E Alfonsina è tra loro. Negli anni successivi è negata ad Alfonsina la possibilità di iscriversi al Giro. Lei però vi partecipa ugualmente per lunghi tratti, come aveva fatto al suo esordio, conquistando l’amicizia, la stima e l’ammirazione di numerosi giornalisti, corridori e degli appassionati di ciclismo che continuano a seguire le sue imprese con curiosità, rispetto ed entusiasmo. Partecipa a numerose altre competizioni finché nel 1938, a Longchamp, conquista il record femminile dell’ora (35,28 km). Rimasta vedova di Luigi Strada, Alfonsina si risposa a Milano, il 9 dicembre 1950, con un ex ciclista, Carlo Messori, con l’aiuto del quale continua nella sua attività sportiva fino a che non decide di abbandonare lo sport agonistico. Ma la sua passione per la bicicletta non viene meno. Apre, infatti, a Milano, in via Varesina, un negozio di biciclette con una piccola officina per le riparazioni. Rimasta di nuovo vedova nel 1957, manda avanti da sola il negozio. Ogni giorno, per andare al lavoro, Alfonsina usa la sua vecchia bicicletta da corsa indossando un’abbondante gonna pantalone. Abbandonerà la sua bicicletta solo molti anni dopo, per una Moto Guzzi 500 c.c. Muore il 13 settembre del 1959 all’età di 68 anni, a causa di un incidente con la sua moto. |

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