N° 001/2022 |
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FONTE: Libero |
GIORNO E DATA: martedì 15 febbraio 2022 |
PAGINA: 15 |
AUTORE: Annalisa Chirico |
La storia di Dalal Nabih, dalla segregazione alla libertà
“Mio padre mi ha venduto a 11 anni”
La donna marocchina oggi aiuta le musulmane a denunciare i soprusi: «Ogni volta mi sembra di rendere giustizia a mia madre»
«Ogni volta che aiuto una di queste ragazze in fuga dallla famiglia, mi sembra di aiutare mia madre», durante la nostra conversazione le parole di Dalal Nabih sono interrotte, a più riprese, dalle lacrime incontrollabili. Oggi questa donna di origine marocchina ha 36 anni. Quando ne aveva undici, il padre la diede in sposa a un uomo di 42, e il “matrimonio” fu consumato. Lo stupro, insomma. «Mio padre, che chiamo così solo per un legame biologico, per me è un estraneo, anzi un bastardo, mi portò ad Agadir con la scusa delle vacanze. In realtà. Mi aveva venduto ad un amico che aveva un figlio. Senza tanti giri di parole, mi ritrovai con un anello al dito, nel bel mezzo di un rutuale di cui non capivo il senso, avevo poco più di 11 anni, ricordo che piamgevo e volevo tornare a scuola, in Italia, mia madre era più disperata di me. Facemmo un pranzo con i genitori di lui che mi accompagnarono in ispedale per lka visita medica: dovevano verificare la mia verginità, sia anale che vaginale. Soltanto dopo si suggellò il fidanzamento. Mi chiuusero in una stanza, mi mostrarono un letto enorme e mi dissero come dovevo sdraiarmi, posizionare le gambe e il bacino. Lui aveva trent’anni più di me. Quando restammo soli, nessuno dei due proferì parola. Lui mi schiacciò con il peso del suo corpo. Fu una tortura» ISOLAMENTO Oggi Dalal vive a Milano dove fa la mediatrice culturale, assiste decine di ragazze di origine musulmana che vivono come spaccate a metà, tra la vita «all’occidentale» e la canea di restrizioni e divieti imposti dalla famiglia di origine. «Mio padre era un padre padrone, picchiava mia madre, quando andava a lavorare ci chiudeva in casa con la doppia mandata, non voleva che io e mia sorella avessimo rapporti con i compagni di classe, non dovevamo frequentare i “cristiani”. Una volta con una chiave inglese, spaccò la testa a mia sorella colpevole di essersi appartata con gli amici fuori da scuols. Né io né mia madre eravamo in possesso di un passaporto perché lui aveva sequestrato i nostri documenti. Dopo il fidanzamento con questo sconosciuto, è seguita una seconda visita in Marocco, con il matrimonio vero e proprio. Tornati a Milano, mio padre voleva procedere con la richiesta di ricongiungimento familiare per far venire in Italia il marito marocchino. Si è accorto che era abbastanza complicato dal momento che io avevo 12 anni, così sono cominciati crescenti, mia madre non ci stava, voleva che io e mia sorella terminassimo le scuole medie, ci mandava di nascosto all’oratorio a seguire il catechismo, quando papà si arrabbiava ci portava in chiesa perché, diceva, “è un luogo pacifico”. Mamma voleva che imparassimo l’italiano anche se lei era analfabeta, faceva le pulizie e tutti la adoravano, era una donna generosa. Quando mia madre gli ha detto: o le fai studiare o io torno in Marocco, lui ha risposto: ci tornerai solo in una bara». Una promessa mantenuta. «Una sera, avevo 13 anni, mia madre mi ha detto: dormi se senti urlare rimani in camera tua, non uscire. Ho capito che era la resa dei conti finale, lei gli aveva chiesto il divorzio. Voleva ribellarsi e sapeva che stava rischiano la vita. Attraverso il muro sentivo la voce di mio padre: dormi che nobn ti faccio niente, le diceva. Il sonno l’ha tradita. Lui l’ha accoltellata nottetempo, poi al mattino ci ha messso in macchina, a me e a mia sorella, e ci ha portato in Marocco dalla nonna. Non l’ho mai più rivisto». Lo scorso anno il Tribunale di Milano lo ha condannato all’ergastolo per omicidio volontario ma di lui si sono perse le tracce. «Nessuno sa dove sia, io e mia sorella siamo tornate a Milano grazie alla solidarietà di un prete di Settimo Milanese e di alcune famiglie italiane che conoscevano mia madre e hanno voluto aiutarci. Sono stata in diverse comunità, ho seguito un percorso psicologico, ho ripreso gli studi e mi sono trovata un lavoro. Ora ho un figlio di 8 anni e un compagno italiano». RIVIVERE L’INCUBO Lei lavora in contatto con giovani donne che cercano aiuto e protezione per difendersi dai rispettivi clan familiari. Non è come rivivrtr ogni volta un incubo? «Spesso racconto la mia storia per spronarle a superare le paure. Quando mia madre è stata uccisa, aveva la mia età. I musulmani radicali sono tutti violenti. Se rifiuti il velo, se alzi lo sguardo, se non preghi, vieni massacrata di botte». Lei è ancora musulmana? «Ho rifiutato l’Islam, alla stregua delle proibizioni e delle sofferenze imposte a me, a mia madre e a mia sorella nel nome di Allah. Ho vissuto con un mostro che mi ha fatto odiare l’Islam. Quale dio può legittimare lo stupro di una bambina? Quale dio può acconsentire a un matrimonio forzato? Ma le storie come la mia sono migliaia anche qui in Italia, esiste un muro di omertà, le donne non denunciano perché hanno paura. Tengo lezioni di italiano a mamme musulmane che vivono in Lombardia da dieci anni e non parlano italiano, non sono integrate, vivono segregate in casa. Trattengo a stento le lacrime quando queste ragazzine velate ci domandano perché il padre vieti loro di mangiare un gelato con i compagni. Cercano una spiegazione. Per me è come se ognuna di loro fosse mia madre: se riesco a fare qualcosa per loro, mi sembra di aiutare lei». IL CAPODANNO Che pensa di quanto accaduto la notte di Capodanno in piazza Duomo a Milano, con nove ragazze vittime di abusi sessuali ad opera di un branco di immigrati perlopiù maghrebini? «Ripugnante. Sono sconvolta dal silenzio, dal fatto che questi fatti siano quasi tollerati. C’è accondiscendenza. Le pare che a Milano io debba avere paura di girare in strada con un paio di leggins o una gonna corta?». Perché lei ha scelto l’Italia? «Amo questo paese e amo la vita. Mia madre amava l’Italia, per dare alle figlie un futuro di libertà ha sacrificato la propria esistenza. Io, oggi, vivo anche per lei». Si sente ancora musulmana? «Non più. A Natale mi piace allestire l’albero di Natale, apprezzo un bicchiere di Pinot nero, quando voglio pregare la mamma invoco Dio, quando ho un problema chiedo aiuto alla Madonna, mi viene spontaneo. Io mi sento cristiana, io sono cristiana».
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